Obiettivo: Giorno I: Delebio – Erdona / Giorno II: Pizzo Alto – Legnone – Osiccio / Giorno III: Delebio.
Partiamo da Delebio (232m) verso le 16:00 diretti a Erdona (1060m), uno dei tanti villaggi di montagna presenti in zona, e praticamente disabitati fuori stagione. Saliamo seguendo le strade carrabili, stranamente piacevoli da percorrere, che collegano fra loro tutti i paesini. Arriviamo a destinazione alle 18:00, in tempo per vedere il tramonto sul lago di Como.
Sveglia alle 5:30 fra mille maledizioni e grugniti. Terminiamo i preparativi alle primissime luci dell’alba e, quando saliamo sulla collinetta davanti casa (Mut), vediamo il cielo in fiamme. Fatte le dovute foto all’alba (circa ottanta), ci incamminiamo raggiungendo prima l’Alpe Tagliata, dove un albero martoriato dai fulmini rimane costantemente attaccato alla vita poi, attraversato un recinto delle mucche nei pressi della Casera Tagliata e percorsa una prima parte del sentiero 122, raggiungiamo un cartello di indicazioni su un bivio.
Tal cartello indicava la via a destra come quella da prendere per arrivare alla Casera Mezzana. Fidandoci delle meschine segnalazioni decidiamo di seguire il sentiero che fiancheggia la montagna invece di quello diretto all’Alpe Piazza. Scendiamo a zig zag, seguendo una traccia di sentiero segnata con un 5, fino ad una costruzione abbandonata con davanti uno spiazzo brulicante di camosci. Inizia a venirci qualche dubbio sulla giusta via quando il sentiero inizia a passare su strapiombi erbosi sdrucciolevoli. Incontriamo poco più avanti un branco di capre fameliche che dapprima ci sbarra la strada, poi ci accerchia (dandoci qualche cornata), poi ci segue. Decidiamo saggiamente di iniziare correre sui dirupi per distanziare il gregge-branco. Proseguendo lungo la “traccia” incontriamo un piccolo smottamento che ci fa smarrire definitivamente la strada facendoci ritrovare in mezzo al bosco. Tirando a sorte decidiamo di proseguire verso il basso. Fortunatamente incrociamo il sentiero che avremmo dovuto prendere fin dall’inizio.
Seguendo il sentiero, ora ben segnato, attraversiamo il torrente Lesina arrivando alla casera Mezzana. Facciamo una pausa per riorganizzare il tempo, controllare più o meno la strada, mangiare e bere qualcosa sotto lo sguardo vigile di alcuni asini. Ripartiamo seguendo il sentiero 121 che, passando dalle baite del Sardarello e del Sugherone dovrebbe portarci al pizzo Alto. Più avanti incontriamo un 8 che dovrebbe essere un’inusuale indicazione per l’Alto.
Su un prato, con qua e là quel poco che rimane di vecchie casere, perdiamo nuovamente il sentiero ma questa volta riusciamo a riagganciarlo in breve tempo senza rischiare la vita.
Proseguendo incrociamo, come da programma, le baite del Sardarello e più avanti e più in alto quelle del Sugherone, pullulanti di pecore, asini e fastidiose marmotte fischianti. Iniziamo a seguire, per forza di cose e in mancanza d’altro, un fantomatico segnale 6 che, invece di portarci alla bocchetta di Taeggio (che stando alla cartina incrocia un sentiero passante poco sotto la cresta in Valsassina), piega verso ovest dirigendosi verso il pizzo Alto lungo una sassaia sotto la quale scorre la parte iniziale del Lesina.
Il 6 è, se possibile, segnato peggio dell’8. Probabilmente si tratta di una vecchissima traccia ormai inutilizzata. Proseguendo sulla sassaia spariscono di nuovo i segnali, ma proseguiamo mantenendoci nella parte alta alle pendici del monte Pim Pum. Guardando verso Est, in un avvallamento poco sopra le baite del Sugherone, notiamo tre cavalli.
Ritroviamo il nostro 6 poco prima di arrivare sulla sella che separa il monte Pim Pum dal pizzoAlto. Il vento terribile ci costringe ad usare il k-way e a trovare riparo dietro una roccia prima di proseguire.
Non sappiamo come interpretare un segnale che indica un 6 sbarrato che assomiglia a un teschio. Se avete consigli da darci, teneteveli per voi.
Iniziamo a salire lungo la parete Nord del pizzo Alto. Costeggiamo un precipizio rivolto a Nord-Ovest e ci arrampichiamo attraverso passaggi molto esposti e un po’ ostici, ma alla fine raggiungiamo la vetta. Affacciandoci sulla Valsassina, una vicina nuvola si fa a brandelli e ci mostra il panorama.
A Sud-Ovest le Grigne e un Ramo del lago di Como, poco sopra il lago di Lugano. A Nord-Ovest il Legnone e la val Chiavenna. A Nord-Est il Disgrazia e ad Est, inconfondibile, il pizzo del Diavolo conquistato dieci giorni prima.
Prima di ripartire dobbiamo affrontare due problemi Sono le 18:00 e siamo molto in ritardo sulla tabella di marcia, stimiamo non più di 2 ore di luce. Non abbiamo il tempo di arrivare fino al Legnone, di tornare a Erdona o di ripercorrere la parete Nord (sia per la difficoltà che per la mancanza di strade una volta arrivati alla sassaia), perciò serve una strada alternativa che ci porti almeno fino al rifugio. Sulla cartina è segnata una traccia che dal lago basso di Deleguaccio valica la cresta fra il Cortese e il Legnone. Decidiamo di tentare questa via.
Scendiamo dalla parete Sud (una scampagnata rispetto alla salita sulla Nord) e seguiamo un sentiero finalmente ben segnato che ci porta ai laghetti alti di Deleguaccio. Giunti sulla riva, durante una piccola pausa per goderci il panorama, notiamo un sasso che, recante le indicazioni per Delebio (ricompare il 6), ci fa salire in cresta molto prima della traccia sulla cartina. “Kompass” o scritta sul sasso? Optiamo per la scritta sul sasso.
Seguiamo una pista praticamente invisibile fino alla cresta e, fatti due passi, ci accorgiamo che la strada non può andare oltre. Il paio d’ore di luce rimanenti, la stanchezza, e la mancanza di fiducia nei confronti di cartine e segni sui sassi ci impone una decisione. Giù in linea retta sperando di arrivare alla Gran Via delle Orobie (101) che passa a 800m di dislivello più in basso. Iniziamo la discesa lunga e ripida del versante Nord sfruttando il più possibile un canalone di roccia. Continuando a dire baggianate, arriviamo all’inizio di una distesa di rododendri. I rododendri sono incredibilmente utili quando si è alle strette, in quanto offrono un valido appoggio per i piedi e un ottimo appiglio per le mani. Proseguendo ci troviamo affacciati ad un precipizio che ci costringe a piegare verso est per diverse centinaia di metri finché, dopo alcuni tentativi andati male, non raggiungiamo un punto che ci consente una discesa più o meno agevole. Pochi metri più avanti incrociamo il sentiero 101.
Proseguiamo veloci, non sappiamo con quali forze, verso Ovest, ma ormai abbiamo solo l’ultima luce del tramonto. Giunti al Castel Luserna troviamo la porta della baita principale chiusa, ma quella di un vicino bivacco-stalla è aperta. Mangiamo un paio di panini, beviamo dalla fontana e, escludendo un tentativo di raggiungere il rifugio all’Alpe Legnone in notturna, iniziamo a prepararci un giaciglio per la notte. Il Bivacco Una casupola con una sola stanza di circa 8m quadrati stipata di cianfrusaglie. Grazie al cielo, fra scatoloni di pane secco pieni di insetti, bombole vuote del gas, attrezzi da lavoro consumati e lamiere, rinveniamo due materassi incellofanati e due reti per dormire. Appesa una lucina con ricarica a dinamo al soffitto e fatte le dovute fotografie ci prepariamo per la notte: tappiamo uno spiffero della porta con un rastrello (inutile sottolineare l’inefficacia del metodo), ci copriamo con addosso tutto quello contenuto negli zaini e con gli zaini stessi, qualcuno crea un turbante di fortuna per far fronte allo spiffero e buonanotte. Trovare questo capanno è stata una bella fortuna, visto che i sacchi a pelo sono rimasti a Delebio.
Ci svegliamo all’alba dopo un sonno tutto sommato piacevole, rimettiamo tutto negli zaini, sistemiamo il bivacco come l’abbiamo trovato e riprendiamo il cammino diretti al Legnone, in barba alla stanchezza e al giorno di ritardo. Seguiamo facilmente la Gran Via, passiamo sopra l’alpe Capello e, prima di arrivare al bivio che a destra porta all’alpe Legnone e a sinistra al Pizzo Legnone, incontriamo una vipera intenta a prendere il sole sul sentiero. Proseguendo lungo la larga e tortuosa via militare, incrociamo un gruppo di 20 ragazzini urlanti dell’oratorio, partiti poco prima dal rifugio Scoggione con tanto di accompagnatori, tutti creati col preciso scopo di turbare la nostra quiete. Saliamo a fatica con sulle spalle lo zaino, due giorni di marcia e una nottata non delle migliori. Ciò nonostante raggiungiamo l’affollatissima vetta su cui rimaniamo finché le creature del demonio non decidono di tornare sui loro passi. Il panorama, una volta ripulito dalla presenza delle fetide creature, è molto simile a quello visto dall’Alto. Quando ripercorriamo la cresta Sud-Est per la discesa, incontriamo un piccolo stambecco. Raggiungiamo l’alpe Legnone e finalmente mangiamo qualcosa che non siano dei conservanti camuffati da pane bianco. Seguendo il sentiero, e dopo aver incrociato un cavallo che affonda nel terreno, rientriamo nel bosco e arriviamo, passando da Piazza Calda, ad Osiccio.
Con tutta la calma del mondo ci svegliamo, mangiamo, vaghiamo per la casa, mangiamo di nuovo e, alla fine, ci prepariamo per l’ultimo tratto di discesa. Raggiungiamo Delebio nel pomeriggio, chiudendo un giro ad anello durato quattro giorni che ci ha portato a percorrere 7000m di dislivello su sentieri inesistenti, ad affrontare terribili creature, a trovare riparo in posti di fortuna e ad affrontare le situazioni avverse come solo noi sappiamo fare: a caso, prendendo le decisioni sbagliate e con una malriposta fiducia nella nostra forza di volontà.